Royal wedding

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    matrimonio reale
    erick joffreel & penny tayron
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    La ninfea sterile si ruppe, e rovesciandosi, fece emergere dall'oscura acqua Estele. E sul fondo del lago dove gli dei che non erano degni di essere chiamati tali non potevano respirare, lei fece il suo regno. Sul fondo del lago dove nessuno poteva guardare e dove si era soli, lei crebbe.
    Il giorno era giunto.
    Lentamente la sala del trono si era riempita degli ospiti e dei molti invitati al matrimonio reale. La corte brulicava di persone. Le cucine, piene di servi laboriosi, sembravano ribollire come le svariate pentole poggiate sulle braci.
    Le ancelle si muovevano frenetiche da una stanza all'altra, servendo e riverendo i reali dei cinque regni in visita alla capitale, Daneka.
    Tutti sembravano non aspettare altro. Erano passati ormai molti anni dall'ultimo invito alla reggia di Daneka per un evento così lieto. Per molti reali era la prima visita dentro le maestose mura del Palazzo. In tutto il vociare e il brulicare di persone, solo due persone rimanevano in un ritirato silenzio di riflessione.
    Erick Joffreel pensava, ancora nella sua stanza. La sua mente era lontana dalle preghiere rituali che avrebbe dovuto compiere in quella giornata così importante.
    A pregare per entrambi, raccolta nelle sue stanze, stava la Regina. Merisel la Valida non approvava quell'unione. Rifiutando fino all'ultimo momento possibile che suo figlio, seppur il suo secondo figlio, sposasse una ninfa semplice, di rango nettamente inferiore al loro, ora aveva smesso di protestare. Quel matrimonio era uno spreco. Possibili alleanze da saldare venivano messe a dura prova con il tiro mancino di suo figlio. Oh, Erick. Così pieno di ideali, eppure così poco concreto. Così infinitamente egoista. Voleva salvare quella sua amica, quella rossa bambina ninfa. Giovane e ancora acerba. Regale nel portamento, ma non nel sangue. Dea, guidami quest'oggi. Oh Estele, guidami in questo percorso ingrato.
    - Che la Ninfa Madre ci protegga: che Ella ci nutra: possiamo noi lavorare insieme con energia. Che i nostri sforzi portino frutto. Che possiamo amarci e vivere in pace - Penny aprì gli occhi, le mani incrociate e poggiate sul tavolo della preghiera. Seduta a terra a gambe incrociate, le ninfe le intrecciavano i capelli fulvi con fiori di lavanda mentre lei pregava sommessamente. Il giorno fatidico era dunque giunto anche per lei. La giovane ninfa aveva compiuto il passo più lungo della gamba, ma il terreno non era ceduto sotto i suoi piedi. La Ninfa Madre doveva essere dalla sua parte. Le sue preghiere, lunghe preghiere rituali che aveva mormorato fin da bambina, avevano dato i suoi frutti.
    Quando le ancelle la fecero alzare le cosparsero il corpo di oli profumati. Purificata, si preparava a sbocciare come i fiori che aveva tra i capelli. La veste leggera scivolò sul suo corpo velocemente. Si permise di guardarsi allo specchio con la coda dell'occhio. Il vestito bianco, intarsiato da arabeschi dorati, le cadeva morbido sui fianchi. Un'ancella incrociò il suo sguardo dal riflesso sullo specchio. Penny volse immediatamente la testa. Non le era permesso nessun atto di vanità, quel giorno. La ciocca tagliata la sera prima di capelli sfuggi alla treccia. Un'ancella accorse subito a sistemarle l'acconciatura. Penny non aveva mai ricevuto quel trattamento.
    Le ancelle, una volta preparata la sposa, la condussero verso la scalinata che portava alla sala del trono. Ad aspettarla c'era Caryn, la Banshee di Daneka. Nella scalinata opposta alla sua, Erick. Entrambi gli sposi si avvicinarono alla Banshee. Questa, una volta che entrambi furono al suo fianco, li prese per mano.
    Le porte della sala del trono si aprirono. Gli occhi di tutti gli ospiti si puntarono su di loro. In fondo alla navata, la Regina Merisel aspettava imperturbabile i due sposi.
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    freya malbeth
    scheda - 23 y.o. - phluvke - promessa sposa di jayson lenoch - dress
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    And with my opened mouth I join the singing light I can see the flickers Over me the lanterns raised Lift me up Lift me over it Show me what you're hiding Take me out into the sea
    Amava i matrimoni reali. Freya era una patita delle cerimonie lunghe svolte tra le mura scintillanti di un ricco castello brulicante di persone. Lei, che era una così fervida amante dei luoghi sociali e dei banchetti interminabili, sentiva di rinascere ogni volta più forte e fresca di prima quando partecipava ad uno di questi. Ma cosa veramente le piaceva di quei lunghi e noiosi banchetti e dei matrimoni formali che si protraevano tra preghiere agli dei e altri sciocchezze varie per ore ed ore? Amava brillare. Lo sapeva bene l'effetto che lei e il suo bel viso pulito e smaliziato facevano al pubblico. Oh sì, pubblico. Freya era l'attrazione principale di ogni banchetto. In qualche modo, catturava l'attenzione dei presenti: era brava a parlare con gli uomini, ad intrattenerli e a farli ridere e sentire speciali. Era per questo che nessuno aveva mai avuto una brutta opinione su di lei e che ogni volta che qualcuno se ne andava da un banchetto del genere non poteva fare altro che pensare "oh dea, quanto mi sono divertito oggi con la giovane Malbeth!". Le dame, invece, sembravano invidiarla. Ovvio, per lei, che succedesse questo: le donne, trascurate da promessi sposi e mariti, dicevano di odiarla e la invidiavano per quella sua peculiarità di ammaliare gli uomini e per la sua innegabile bellezza.
    Sì, Freya Malbeth era tutt'altro che modesta.
    Ad ogni modo, quando aveva sentito dell'invito al matrimonio reale - a quanto pareva il secondogenito della Regina aveva deciso di diventare off limits per una ninfa di rango inferiore al suo, big scandal! - si era subito elettrizzata. Non vedeva l'ora di uscire dalla reggia di Iekem dov'era confinata per poter viaggiare un po'. Immaginate il suo stupore quando la regina Sheridan l'aveva informata che Freya, Jayson e la regina madre sarebbero rimasti al palazzo mentre lei e suo marito Ethan andavano a fare la bella vita a Daneka. L'isola di Oejen era per lei una vera e propria prigione naturale, circondata completamente dal mare da ogni parte che la si guardasse. Certo, amava il mare, l'acqua, il sole cocente che le abbronzava la pelle rosea e l'aria salmastra che si respirava ma allo stesso tempo non sopportava di non poter fare ciò che voleva. Abituata ancora alle regole per lei inesistenti del suo bel palazzo a Jahdva, da quando era stata mandata a Iekem finiva per scontrarsi con la cruda verità: non era più la principessa del suo amato regno, ma una straniera che ancora non era nessuno.
    - Non ha nessun diritto per potermi obbligare qui - aveva sibilato quella sera stessa davanti al suo promesso sposo. Jayson era tutto fuorché un uomo forte e pronto a battersi per la sua donna, questo le era ben chiaro. Forse però, aveva una fin troppo alta idea di lui: pensava che magari sarebbe stato in grado di intercedere in qualche modo tra lei e Sheridan, facendole cambiare idea, o quantomeno provandoci.
    - A dir la verità, lei è la Regina - lo sguardo di fuoco di Freya sembrò ardere ancora di più. E io non posso nulla contro di lei? Lei era la Regina. Sheridan poteva essere tutto ciò che voleva, avere ogni titolo e Freya non poteva farci nulla. Ogni sua parola era legge, per lei. Questo le stava dicendo Jayson.
    Freya si rasserenò tutta d'un colpo, come quando la grandine smette di scendere nel giro di pochi istanti. Incrociò lo sguardo del suo promesso sposo, prendendolo per mano. Quel contatto, per la prima volta, la tranquillizzò. Fece un leggero sorriso. - Sì, mio amato, avete ragione. Lei è la Regina - e questa è una sfida.

    - Fa' qualcosa - soffiò quelle parole con fermezza davanti al viso sudato di Ethan Lenoch, re di Iekem e marito di Sheridan. Strinse le gambe attorno alla sua vita sottile. Ethan rise, divertito da tanta caparbietà. - Non ridere di me, Lenoch - aggrottò le sopracciglia in un'espressione a metà tra l'offeso e l'incazzato.
    - Ok ok. La smetto - il riso trattenuto a stento le fece roteare gli occhi.
    Sospirò, snervata. - Sono seria: fa' qualcosa con tua moglie - seduta sopra di lui, sembrava lei in comando della situazione. La realtà era un'altra: Ethan la lasciava comandare, divertito dall'amante che cercava di fare la regina.
    Il sorrisetto malizioso del re la irritò parecchio. - Del tipo? - scivolò con la mano nel suo interno coscia.
    - Ma insomma, Ethan! - allontanò la mano dandogli uno schiaffetto snervato.
    - Non è che possa fare o dire molto, Freya - scosse la testa lui - non sei ancora finita impiccata in piazza perché non mi sono mai espresso apertamente su di te - inutile dire che a lei, questo, importava poco. In qualche modo, Freya credeva di essere al di sopra di Sheridan o, quantomeno, di potersi permettere ogni cosa, grazie ad Ethan. Forse era davvero così: Sheridan non avrebbe mai provveduto a sbarazzarsi di lei per paura di eliminare le alleanze con il regno di Jadhva e con suo marito. Certo era che esporsi così apertamente su di lei non sarebbe stata una mossa saggia: se anche non l'avesse mandata a morte, avrebbe potuto punirla in mille altri modi.
    - Non mentire: lo sai benissimo anche tu che spera ancora in una riconciliazione tra voi due. Se morissi, non accadrebbe mai - lo sguardo di Ethan, per un istante, sembrò pensare il contrario. Freya non ci fece caso, troppo convinta di sé stessa e del loro amore. Ma era veramente amore, o più un modo di soddisfare la mancanza di potere di lei o il bisogno di evadere di lui? - Se non venissi, saresti da solo con lei per più di una settimana - lo incalzò. Che incubo, pensò e pensò che lui avesse fatto lo stesso pensiero.
    - L'attesa del piacere è essa stessa il piacere -
    - Ti farò aspettare molto, allora. - lo minacciò. A volte le sembrava di avere a che fare con un bambino, e non con il re di un regno. Oh, dea! Freya si avvicinò di più al suo viso. - Farai qualcosa? -
    - Ci proverò - solo a quel punto la Malbeth si sciolse il un sorriso.

    Ethan non ci aveva solo provato. Durante il lungo ed interminabile viaggio in mare e poi via terra da Iekem a Daneka, Freya si era spesso chiesta cosa avesse detto a Sheridan tanto da farle cambiare idea. A tal proposito, però, il giovane re di Iekem non si era espresso. Ad ogni modo, non le era importato più di tanto: alla fine, Freya era riuscita a fare ciò che voleva.
    - Mia dama, siete pronta? - o quasi. Alzò gli occhi al cielo. Se c'era lei, doveva esserci anche il suo amato e adorato promesso. Annuì leggermente, le ancelle ninfe che si muovevano intorno a lei per sistemarle il vestito ed i capelli.
    Si guardò allo specchio, passando le mani sul corpetto del vestito per togliere le pieghe. Il lungo scollo a "v" le arrivava oltre il piccolo seno, il corpetto stretto accentuava le curve, il viso era incorniciato da una acconciatura semi-raccolta. Beccò Jayson sfiorarla con lo sguardo. Sorrise melliflua, prima di prendere il braccio che lui le tendeva e uscire dalla stanza.
    La stanza del trono era almeno il triplo di quella di Iekem, e quattro volte quella di Jahdva. Si guardò intorno, incrociando lo sguardo di qualche presente. La Regina Merisel doveva ancora arrivare: non aveva mai avuto il piacere - o meno - di incontrarla o di banchettare in sua presenza ma i suoi fratelli, che più volte erano stati a Daneka, raccontavano fosse bellissima e spietata quanto sagace.
    Andò a prendere posto nella sedia a lei assegnata. Alla sua destra, Jayson, Ethan e Sheridan. Alla sua sinistra c'era la concubina del nipote dei Sindarin. Sheridan sorrise deliziata, salutandola con due baci sulle guance. - Oh cara, che bel vestito - Che tesoro che sei. - Mille grazie, sua altezza. Ma il suo è innegabilmente più grazioso - Jayson ed Ethan si guardarono leggermente imbarazzati. Oh, se solo Jayson avesse saputo la verità.
    Quando entrò Merisel, tutti rimasero in silenzio. Ogni rumore sembrava essere stato risucchiato rapidamente dai passi lenti della Regina delle Ninfe. Aveva il viso pulito, e giovane ma si muoveva sicura e consapevole del suo ruolo. Al suo seguito c'erano due ninfe che la accompagnavano e la sorvegliavano. Nonostante l'imminente matrimonio tra Erick Joffreel e Penny Tayron, era lei la vera protagonista della giornata.
    Ad ogni modo, quando le porte della sala del trono si aprirono, facendo entrare la Banshee di Daneka assieme ai due quasi novelli sposi, tutti si voltarono verso di loro. E fu così che, ahimé, iniziò il matrimonio.
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    erick joffreel
    scheda - 25 y.o. - nymph - prince
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    So this is where we are It's not where we had wanted to be If half the world's gone mad The other half just don't care, you see
    I versi delle preghiere gli sfuggivano, flebili, tra le labbra appena socchiuse. Ashdan, Firval, Lumbar, Estele... Mormorava quei nomi in modo confuso, senza una particolare associazione, più per formalità che per vera convinzione. Non era mia stato, in verità, un fedele modello per la religione Bangheid, né si era mai premurato di dare poi così tanto peso ai rituali. Aveva preferito dedicare il proprio tempo ai vivi piuttosto che a vuote immagini prive di ideali - reali ideali, come li intendeva lui. La dea, gli dei, il primo umano, i figli delle terre non erano altro che simboli. Un tentativo di giustificazione delle costruzioni sociali in cui erano immersi fino al collo. In questo senso, si sentiva quasi più vicino alle convinzioni degli Slapen, il culto proibito. Loro usavano gli dei, non li temevano, e sfidavano quelle stesse costruzioni sociali dimostrando che nemmeno il divino è immutabile.
    Sorrise appena, sussurrando il nome di un altro falso idolo. Era solo, nella propria camera. Solo, teoricamente, di fronte alla misericordia o alla distruttività della madre. Sorrise appena di più. L'unica madre degna di essere temuta era la Madre effettiva, la regina. E non dubitava che religiosi, eretici o chissà che altro ne fossero più che consapevoli.
    E quel matrimonio era una sfida alla Madre, se ne rendeva conto. O almeno, sperava lo fosse nel suo piccolo. Penny Tayron poteva anche essere una ninfa semplice, probabilmente addirittura una ninfa impura, ma lui non era certo l'erede al trono. Il suo matrimonio, in effetti, era per natura, a prescindere della sposa, una pura formalità. Un'occasione per una valida alleanza, al massimo, o un motivo per riunire tutti i reali delle terre. Alla fine, sposare Penny voleva semplicemente dire, per quanto riguardava la regina, eliminare una possibile alleanza. Un grandioso atto di ribellione, certo, che non era nemmeno questa gran perdita per il reame.
    Cos'era, quindi, quel matrimonio per lui? Non era un atto di ribellione che valesse davvero la pena di essere compiuto, non era un atto d'amore, non una ricerca di convenienza, non era nulla. Era, probabilmente, la più grande stupidaggine che potesse fare, sotto ogni singolo punto di vista, e che in qualche modo stava anche cercando disperatamente di giustificare.
    Magari sarebbe stato utile per Penny, almeno. Non la amava, questo era palese, ma di certo provava affetto per lei e voleva il meglio per lei. Le avrebbe regalato una vita felice, e degna. La vita che aveva sempre desiderato. E come biasimarla? Odiava ammetterlo, ma se doveva essere uno strumento, tanto valeva essere lo strumento di Penny piuttosto che quello del reame. Si trattava, per certi versi, di scegliere il male minore. Una valutazione tra rischi e benefici in nome del criterio dell'utile, che mai, in verità, gli si era addetto.
    Affetto. Ripensò a quella parola. Che tipo di affetto c'era, effettivamente, tra lui e Penny? Amicizia, non molto di più. Probabilmente avrebbe dovuto essere ed esserle grato anche di questo. Era già molto più di ciò che potessero vantare la maggior parte dei matrimoni. E poteva anche non amarla, ma certo avrebbe fatto in modo di essere un marito perfetto. Ironicamente, sarebbe stato in grado di farlo proprio perché non l'amava.
    Si chiese cosa stesse facendo la sua futura sposa in quel momento. Teoricamente sarebbe dovuta essere anche lei ritirata nelle sue stanze a pregare. Conoscendola, probabilmente in modo più convinto, ed adeguato, di lui. Quell'immagine prese lentamente forma nella sua mente, mentre socchiudeva le palpebre, le mani giunte che sfioravano le labbra. Cercò di immaginare le parole che doveva star sussurrando, i nomi che doveva star invocando, i capelli rossi, sciolti, che le cadevano sulle spalle, la veste, candida, che le fasciava i fianchi. La trovò bella, veramente bella, per la prima volta, nella sua mente.
    Sorrise, un poco, riaprendo gli occhi. Ed il suo sorriso scemò non appena i capelli di quella donna immaginaria divennero scuri, castani, poi biondi, i sussurri non più preghiere, la sua espressione concentrata, assorta, un tenue sorriso, la veste che scivolava dal corpo.
    Si alzò, di scatto. Cercò di ritornare all'immagine precedente, senza successo. Le due figure sfumavano l'una nell'altra, ora era la rossa a sorridere, ora la bionda a nascondere le proprie forme sotto la veste, pudica, la prima pregava, la seconda lo chiamava. Si passò le mani nei capelli, rabbiosamente, cercando quindi di scacciare quei pensieri, o quei ricordi. Meg era certo l'ultima persona a cui avrebbe dovuto pensare la notte prima delle nozze o durante qualsiasi altra notte.
    Lasciò cadere lo sguardo, inconsciamente, sul proprio letto. L'ultimo posto in cui l'aveva incontrata, in effetti, due settimane prima. Non riuscì a trattenersi dal perdersi anche nel ricordo di quella conversazione, amaramente. Lei gli aveva spiegato le sue motivazioni, e lui l'aveva scacciata. Non avrebbe saputo definire, ora, quali sentimenti sentisse nei suoi confronti. Delusione, affetto, forse, ancora, amore, e rabbia. Rabbia che era nata dopo aver sentito e, soprattutto, ripensato a quelle sue fantomatiche motivazioni. Rabbia per come lei aveva deciso di gestire le cose. Avrebbe potuto comportarsi in tantissimi altri modi senza doversi necessariamente fingere morta. Avrebbe potuto chiedere a lui di aiutarla. Avrebbe potuto includerlo in quella dannatissima decisione, invece di lasciarlo in balia degli eventi, e distrutto.
    E lui, da parte sua, avrebbe voluto anche poterle dire tutto ciò, senza continuare a rimuginare nella propria stanza. Avrebbe voluto parlarle, semplicemente, in modo più serio. Lontano dal castello, dalla regina, da Penny, da chiunque. Nella foresta, magari. Avrebbe solo dovuto trovare un modo per contattarla. Avrebbe potuto mettersi in contatto con i ribelli, magari attraverso i mendicanti. Ma come? E quando, sopratutto?
    Un sorriso amaro gli increspò le labbra. Non c'era tempo, questo era stato il suo primo pensiero. Quasi, senza volerlo, si fosse illuso di poterla vedere prima del mattino seguente. Quasi avesse pensato, e sperato, egoisticamente, di poter trovare una via d'uscita da quella situazione orribile in cui si era messo da solo.
    Inutile dirlo, avesse saputo delle reali condizioni di Meg, non avrebbe mai chiesto a Penny di sposarlo. Non perché le motivazioni che l'avevano spinto a scegliere Penny come sua compagna non si sarebbero potute comunque realizzare, anzi, ma perché, conoscendosi, avrebbe saputo che non sarebbe stato in grado, concretamente, di metterle in atto. Si sarebbe trovato in quello stesso conflitto che stava vivendo e, stupidamente, non se la sarebbe sentita di sposare una ragazza sapendo di amare completamente, istintivamente e genuinamente l'altra. Forse, semplicemente, avrebbe cercato di evitarsi tutta quella sofferenza.
    Meg. Non si evitò un'altra fitta al cuore. Ripeté quel nome ancora, ed ancora, una preghiera nettamente più convincente. L'avrebbe cercata dopo il matrimonio, lo giurò a se stesso. Per parlare, vederla, capire, amarla e, per gli dei, non lo sapeva nemmeno lui.
    Tese l'orecchio verso il corridoio. Silenzio più totale, se non per i passi sommessi di qualche guardia. Non uscì di soppiatto dalla propria stanza, mentre si dirigeva verso quella della propria futura sposa. Vi uscì da principe, consapevole dei propri privilegi e, sinceramente, con abbastanza potere da potersene infischiare dei pettegolezzi di palazzo. Vi uscì, in verità, in modo più istintivo di quanto un reale avrebbe dovuto fare.
    Sfiorò la sommità della porta con il dorso della mano, in silenzio. Avrebbe dovuto bussare? Si limitò ad aprirla di uno spiraglio, quel che bastava per intravedere un guizzo rosso. Pregava. Sorrise, compiacendosi di quanto quell'immagine fosse simile ai suoi pensieri. E la trovò bella, tanto bella quanto in quegli stessi pensieri.
    Ora, da marito perfetto quale aspirava ad essere, avrebbe dovuto richiudere quella porta e tornare anch'egli a pregare, o almeno a fingere di provarci. Da amico, tuttavia, non poté non evitare di richiuderla dietro le proprie spalle.
    Si avvicinò, lentamente, tanto da potersi rendere conto di quanto effettivamente fosse assorta nelle proprie preghiere. Tanto da aver seguito ogni suo movimento con la coda dell'occhio.
    Si sedette di fianco a lei, ascoltandola, figurandosi i volti degli dei che conosceva mano a mano che li sentiva nominare. Ashdan, Firval, Lumbar, Estele... Mormorava quei nomi in modo sinceramente convinto, quasi deciso, senza il timore che le sarebbe stato richiesto. Forse li aveva pregati talmente tanto da riconoscervi qualcosa di familiare, lontano dall'oscurità delle scritture.
    Aspettò che concludesse l'ultima invocazione alla Dea Madre.
    - Che la Ninfa Madre ci protegga. Che Ella ci nutra: possiamo noi lavorare insieme con energia. Che i nostri sforzi portino frutto. Che possiamo amarci e vivere in pace. -
    Perfino Erick conosceva a memoria quella preghiera. L'avrebbe ripetuta anche il mattino seguente, sommessamente. L'ultimo verso, pronunciato da lei con così tanta rituale sicurezza, gli suonò quasi come un crudele scherzo del destino.
    Lei si voltò verso di lui, con un'espressione, dovette ammetterlo, indecifrabile, pur per quanto bene la conoscesse. Pur per quante volte l'avesse vista pregare.
    Visto l'amore di Penny per le formalità si sarebbe quasi aspettato che gli intimasse di andarsene. - Non dovresti essere qui. Porta male. - mormorò, infatti, alzando un sopracciglio fulvo. Eppure, non si mosse né accennò a farlo. Si limitò a rimanere a guardarlo negli occhi con il nome della Madre ancora sulle labbra.
    - Temo di aver già condannato il nostro matrimonio con le mie... preghiere. - ribatté lui, trattenendo appena una vena di sarcasmo. Penny scosse appena il capo. Eppure la vide sorridere, per un attimo.
    - Se così vogliamo chiamarle. - lo guardò, ancora - Non credo di averti mai sentito dire un'invocazione nel modo giusto. -
    - Insegnami, allora. - sorrise lui, questa volta. Non fu difficile scorgere un velo di incredulità dietro quell'espressione imperturbabile che la ragazza cercava di mantenere. Si conoscevano abbastanza da sapere di avere pareri discordanti sui culti. Ed abbastanza da sapere quanto certe domande fossero fatte solo per cercare di creare un legame, anche in una situazione come quella.
    - Certamente, vostra altezza. - lo canzonò lei, ora che le porte erano chiuse e che le formalità, forse, potevano anche cedere, sia pur per poco. Riconobbe la propria amica dietro quella maschera che, spesso, era l'unica a voler mantenere.
    Tentò un'invocazione della divinità delle fiamme, ovviamente con l'epiteto sbagliato. Penny scosse il capo, ridendo. Invocò allora il nome della Sapienza, scambiandolo per quello della sorella, le gesta di Maranel in nome di Ashdan, e concedette, questa volta consapevolmente, un posto d'onore all'umano Faris tra il pantheon degli dei. Penny quasi trasalì, dandogli un piccolo colpo sulla spalla.
    - Potremo ritenerci fortunati se non ci si aprirà la terra sotto i piedi quando mi prenderai in moglie, domani. - sorrise, incerta.
    Gli sfiorò le mani, facendo per chiudergliele in preghiera. Mantenne i palmi leggermente premuti sul dorso di quelle di lui.

    Le mani di Caryn, banshee di Daneka, fungevano come da ponte tra il principe e la sua sposa. Erick incrociò prima lo sguardo di Penny, poi quella della regina, immobile, in fondo alla navata. Sarebbe potuta apparire quasi come una statua, in quella sua regale austerità.
    Percepì un brivido da parte della ragazza. Lui si limitò a mantenere il proprio sguardo fisso su quello della Madre. Per quanto apparisse impassibile, giurò di avervi scorto una nota accusatoria, ma rassegnata agli eventi. Decise di considerare quello sguardo una vittoria, la propria piccola vittoria. Per quanto fosse un evento insignificante, nemmeno il reame poteva nulla contro quel matrimonio.
    La Regina gli chiese se volesse prendere la ragazza, nel nome della Dea, come propria compagna. Rispose di sì.
    Fece la stessa domanda alla fanciulla per tre volte, come era scritto che dovesse celebrato. Lei rispose di sì, tre volte.
    E anche lui ebbe un brivido, un brivido di consapevolezza.
    Penny Tayron era sua moglie.

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    jay "jj" joffreel
    29 y.o. - nymph - prince - sheet
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    Oh! Darling, please believe me I'll never do you no harm Believe me when I tell you I'll never do you no harm Oh! Darling, if you leave me
    JJ stava morendo. Jay stava morendo veramente dentro affrontando quel lutto che ormai era divenuto reale a tutti gli effetti. Dire che non se l'aspettava era dire poco: Penny era stato il suo dolce amore silenzioso per anni ed anni, esattamente da prima che suo fratello la notasse e facessero amicizia - quindi molto tempo prima - e da quando lei era divenuta la bff di Erick lui, primogenito e futuro re di stocazzo, aveva pensato che superata la timidezza sarebbe riuscito a confidarle quello che provava per lei. Penny, Penny, mia dolce Penny, perché? Penny si stava sposando, signore e signori. Si sposava con Erick. Vogliamo parlare dell'ironia della sorte? Penny aveva scelto il Joffreel sbagliato e sapevano tutti e tre che Erick era proprio quello meno indicato. Punto primo: era suo amico perciò che schifo l'idea di farsi una amica è proprio proprio da malati; punto secondo: Jay era innamorato di lei ed Erick lo sapeva bene; punto terzo - Estele dammi la forza -: quei capelli rossi e quegli occhi vispi sarebbero stati perfetti per i bambini di Jay, non di Erick. Erick aveva i capelli lunghi ed era già abbastanza, non si dovevano sprecare i geni bellissimi di Penny così. Che poi, Erick sarebbe riuscito a fare un bambino? Dubitava che i ninfi - faceva già ridere così - potessero cacare in una ninfa e far nascere una ninfetta.
    « Che schifo » era ancora steso a letto. Fuori dalla porta sentiva già da un pezzo lo scalpiccio dei servitori che si muovevano per le stanze portando oggetti e cose varie per celebrare in pompa magna quel matrimonio del cazzo. Non capiva perché si preoccupassero tanto che tutto fosse perfetto: poteva anche essere il matrimonio più iconico di tutti ma bastava guardare la coppia per capire che quel matrimonio non s’aveva da fare. Dire che Jay fosse contrariato era dire poco: suo fratello gli aveva spezzato il cuore. Sapeva pure il motivo per cui l’aveva fatto, il motivo per cui aveva scelto proprio Penny come sua moglie: era ancora incazzato con lui per la schiavetta con la quale se l’era fatta e che ora era morta. Erick era un uomo rancoroso e non gli aveva più parlato da quando aveva saputo che era stato l’ultimo a vederla e forse colui che gli aveva dato i mezzi per uccidersi. In tutto ciò, il matrimonio con Penny rappresentava la vendetta perfetta per punire Jay che non ricordava e non era sicuro di essere la causa della morte di quella.. Megara? Megera? Come si chiamava poi? Mah.
    Quando entrò una ancella di sua madre ad assicurarsi che lui si preparasse si alzò dal letto con un borbottio sommesso. « E’ il giorno più brutto della mia vita » mormorò. Era melodrammatico, scurrile, drogato e tutto ciò che un futuro erede al trono non doveva essere. La ancella – lo vide chiaramente – alzò gli occhi al cielo. Ah era stanca delle sue lamentele? Pensa un po’, Jay era stanco di quella vita, quindi non doveva tanto sbuffare e fare certe facce lei. La vita di JJ era molto più dura della sua. Per un istante pensò di incriminarla per offesa al regno e a lui, poi ci ripensò: Dunkhan si sarebbe troppo divertito a vederla decapitare e non voleva fare un favore al fratello squilibrato.
    La cerimonia sarebbe stata lunga e lui non conosceva nessuno. Quando entrò nella sala del trono vide una bolgia di reali e di arrampicatori sociali che parlavano e facevano i loro comodi nei bei vestiti splendenti. Non conosceva nessuno e chi aveva incontrato una volta non aveva voglia di parlare con lui. Sospirò. Sua madre doveva pregarlo per non fargli fare qualche figura di merda davanti a tutti quanti. Già gli giravano i coglioni.
    « Sua Altezza Jay! » si voltò frastornato verso il punto in cui qualcuno l’aveva chiamato. Una bionda pluvkhe lo guardava con un sorriso radioso. Chi era, un’apparizione divina? La giovane si avvicinò a lui come se fosse una vita che non si vedevano. Effettivamente non l’aveva mai vista in vita sua. O così gli pareva, almeno. La guardò dubbioso. « Sono Freya Malbeth, si ricorda di me? » annuì come uno scemo. In verità non si ricordava assolutamente, probabilmente quando l’aveva conosciuta era strafatto in giro per il continente, ma era felice che qualcuno si ricordasse di lui positivamente tanto da avvicinarsi.
    « Ma certo Freya, come dimenticarsi… » si bloccò, titubante. Di cosa doveva ricordarsi?
    Freya gli sorrise graziosa. Se non fosse stato in lutto per Penny probabilmente ci avrebbe spudoratamente provato. Era bella e radiosa. Era incredibilmente piacevole alla vista e all’udito. Era un’ottima compagnia, una botta di autostima per il povero JJ. Anche se non aveva idea di chi fosse gli andava bene così.
    Al fianco della dama si era teletrasportato il suo probabile accompagnatore, un ragazzo giovane e allampanato che sembrava non capire assolutamente nulla di ciò che gli capitava davanti. « Ci siamo conosciuti a Jahdva più di cinque soli fa » spiegò con tono allegro al suo accompagnatore appoggiando una mano sull’avambraccio. « Abbiamo passato una favolosa settimana: gli ho fatto da guida nei luoghi più speciali della mia terra madre »
    « E’ passato così tanto tempo ma è sempre radiosa come allora… » stava camminando su un filo ma a quanto pareva ogni sua affermazione sembrava assolutamente perfetta e consapevole di tutto ciò che era successo nell’incontro che avevano avuto. Sperò di aver fatto qualcosa di zozzo con lei solo per poter tentare di rifarlo di nuovo. Fortunatamente o meno non ebbe tempo di approfondire la conoscenza perché i due quasi coniugi erano pronti a giurarsi amore eterno e stavano per giungere alla sala. « A dopo, milady » infinitamente stucchevole, la salutò con un baciamano al quale lei rispose con un sorriso civettuolo e una mezza risata. Poi si allontanò e si mise in prima fila ad osservare quella cerimonia infernale. A poca distanza da Penny e suo fratello ebbe la tentazione di interrompere tutto quanto e mandare all’aria il matrimonio. Doveva distrarsi. Si voltò cercando Freya con lo sguardo. Quando lo incrociò le sorrise. Lei gli fece un occhiolino. Jay si era già dimenticato di Penny.
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